Stefania Romito intervista Pierfranco Bruni-Mibact




INTERVISTA A PIERFRANCO BRUNI

Professore. Lei è vicepresidente del Sindacato Libero Scrittori Italiani, è un giornalista, poeta, biografo, direttore archeologo, coordinatore del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e, recentemente, è stato candidato al Nobel per la letteratura per la copiosa produzione e le numerose traduzioni dei suoi lavori all'estero. Infatti lei è, senza dubbio, tra gli scrittori italiani maggiormente tradotti nei Paesi esteri. Come ha accolto la candidatura al Nobel? Se l'aspettava, oppure è stata una splendida sorpresa?
E' stata una splendida sorpresa, anche perché solitamente si fa una cernita tra gli autori italiani coinvolgendoli direttamente nella fase iniziale. Io non sono stato coinvolto inizialmente, di conseguenza è stata una vera e propria sorpresa e questo mi ha dato la possibilità di capire anche alcune articolazioni all'interno del premio Nobel che mi hanno permesso di penetrare in realtà che sembrano strumentali da un punto di vista letterario, ma che poi contano all'interno dei processi culturali europeo-internazionali.

Lei ha scritto anche saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e si considera profondamente mediterraneo. E' anche autore di un libro su Fabrizio De André, "Il cantico del sognatore mediterraneo" giunto ormai alla sua terza edizione, nel quale viene analizzato il rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema, questo, che rappresenta un modello di ricerca sul quale sta lavorando già da parecchi anni, non è così?
Esatto, il rapporto tra poesia e musica, ovvero tra linguaggio musicale e linguaggio poetico, è stato oggetto dei miei studi per molti anni. A partire dalla metà degli anni Sessanta, da quando si è affermata una finta neoavanguardia (Gruppo '63) che ha conosciuto la sua crisi con Sanguineti e Pasolini, si è verificata la morte della poesia intesa come innovazione e tradizione. Alcuni cantautori, tra cui Fabrizio De Andrè, ne hanno risollevato le sorti. Secondo De Andrè era la musica che doveva adattarsi al testo, diversamente da altri cantautori che creano prima la musica e poi vi adattano le parole. Cantautori come Paolo Conte, ad esempio, hanno lavorato moltissimo sulla parola creando prima il testo e poi l'armonia musicale. Si tratta di cantautori che conoscono benissimo la letteratura. Lo stesso De Andrè era un grande appassionato di letteratura francese, questa conoscenza faceva sì che il rapporto tra canzone e poesia fosse molto forte. Di certo questi cantautori hanno contribuito a "risollevare" il linguaggio musicale, il linguaggio poetico permettendo alla letteratura di poter trarre vantaggio da questi rapporti. Vi è stato spesso un conflitto tra poesia e musica. Io credo che la letteratura degli anni '60 abbia dato molto a questi cantautori.


Lei ha da poco pubblicato un libro "Futurismo Renaissance" scritto in collaborazione con lo scrittore futurista Roberto Guerra. Un libro estremamente interessante nel quale ci si interroga circa l'eventualità di una possibile rinascita delle avanguardie nell'era contemporanea, ma soprattutto un libro in cui si tendono ad analizzare gli aspetti più rappresentativi del Futurismo contemporaneo. A questo punto mi interessava chiederle quali sono, a suo parere, le caratteristiche del Futurismo contemporaneo e in che cosa si differenzia da quello storico?
Questa è una domanda complicata, ma molto bella. Ringrazio Roberto Guerra per avermi dato la possibilità di riflettere su questo rapporto in base al quale il concetto di Rinascimento diventa punto nevralgico all'interno di un processo futurista. Il Futurismo antica maniera ha rappresentato l'unica avanguardia nazionale che è riuscita a portare l'Italia letteraria nel mondo, e questo è vero perché il Manifesto di Marinetti, pubblicato su "Le Figaro", forniva indicazioni precise in tutto il mondo su come dovesse essere la letteratura per rimanere nella storia, nel tempo e questo ha costituito un punto di grande vantaggio non soltanto per la cultura futurista e le avanguardie dell'epoca, ma soprattutto per l'Italia e per l'Europa intera. Molti paesi, tra cui la Russia, hanno attinto a questa forma marinettiana. A partire dal '44 si ravvisano segni tangibili di una rivoluzione del linguaggio e anche della vita. Il Futurismo ha saputo inserirsi all'interno di un processo culturale in quegli anni. Tutto ciò rientra in un percorso grazie al quale il Futurismo è riuscito a resistere all'urto della storia e delle sperimentazioni. Riguardo alla differenza tra il Futurismo marinettiano e quello di oggi, sono del parere che il Futurismo marinettiano abbia recuperato la tradizione della letteratura che si basava sull'incontro tra il linguaggio occidentale e i linguaggi orientali e li abbia innovati. Marinetti parte, quindi, dal concetto di innovazione ma poi ritorna al concetto di tradizione per rinnovare quella tradizione che era la tradizione post romantica. Il Futurismo di oggi attua questo presupposto andando oltre, non soltanto attraverso le forme linguistiche, ma anche attraverso forme di contenuto, tematiche vere e proprie. Credo che il Futurismo di oggi abbia come consistenza la serenità di essere depositario di una tradizione, ma nello stesso tempo riesca ad innovarsi e a rinnovarsi sia attraverso la parola, i contenuti, sia tramite la pittura e il colore.
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STEFANIA ROMITO